La Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 134, comma 1, del Codice della Proprietà Industriale (decreto legislativo 10.02.2005 n. 30) evidenziando che detta norma, che prevedeva l’applicazione del rito societario alle controversie in questione, era viziata da eccesso di delega poiché il Governo non era stato in alcun modo autorizzato dalla legge delega a sottoporre tali controversie ad un rito differente da quello ordinario.
CORTE COSTITUZIONALE
SENTENZA N. 170 – ANNO 2007
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
– Franco BILE Presidente
– Giovanni Maria FLICK Giudice
– Francesco AMIRANTE ”
– Ugo DE SIERVO ”
– Romano VACCARELLA ”
– Paolo MADDALENA ”
– Alfio FINOCCHIARO ”
– Alfonso QUARANTA ”
– Franco GALLO ”
– Luigi MAZZELLA ”
– Gaetano SILVESTRI ”
– Sabino CASSESE ”
– Maria Rita SAULLE ”
– Giuseppe TESAURO ”
– Paolo Maria NAPOLITANO ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 134, comma 1, del decreto legislativo 10 febbraio 2005, n. 30 (Codice della proprietà industriale, a norma dell’articolo 15 della legge 12 dicembre 2002, n. 273), nonché degli artt. 15 e 16 della legge 12 dicembre 2002, n. 273 (Misure per favorire l’iniziativa privata e lo sviluppo della concorrenza), promosso con ordinanza del 12 aprile 2006 dal Tribunale di Napoli nel procedimento civile vertente tra Sterilfarma s.r.l. e Belmont s.r.l., iscritta al n. 536 del registro ordinanze 2006 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 48, prima serie speciale, dell’anno 2006.
Udito nella camera di consiglio del 21 marzo 2007 il Giudice relatore Giuseppe Tesauro.
Ritenuto in fatto
1. – Il Tribunale di Napoli, sezione specializzata in materia di proprietà industriale ed intellettuale, con ordinanza del 12 aprile 2006, ha sollevato, in riferimento all’art. 76 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 134, comma 1, del decreto legislativo 10 febbraio 2005, n. 30 (Codice della proprietà industriale, a norma dell’articolo 15 della legge 12 dicembre 2002, n. 273), nonché degli artt. 15 e 16 della legge 12 dicembre 2002, n. 273 (Misure per favorire l’iniziativa privata e lo sviluppo della concorrenza).
2. – Il rimettente premette che la controversia sottoposta al suo giudizio concerne una domanda di accertamento della contraffazione di un marchio registrato e di atti di concorrenza sleale interferenti con la tutela della proprietà industriale, riservata alla cognizione della sezione specializzata in materia di proprietà industriale ed intellettuale, ai sensi dell’art. 3 del decreto legislativo 27 giugno 2003, n. 168 (Istituzione di Sezioni specializzate in materia di proprietà industriale ed intellettuale presso tribunali e corti d’appello, a norma dell’articolo 16 della legge 12 dicembre 2002, n. 273).
Inoltre, espone che, in virtù dell’art. 134, comma 1, del d. lgs. n. 30 del 2005, «nei procedimenti giudiziari in materia di proprietà industriale e di concorrenza sleale […] ed in generale in materie di competenza delle sezioni specializzate […] si applicano le norme dei capi I e IV del titolo II e quelle del titolo III» del decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5 (Definizione dei procedimenti in materia di diritto societario e di intermediazione finanziaria, nonché in materia bancaria e creditizia, in attuazione dell’articolo 12 della legge 3 ottobre 2001, n. 366) e, quindi, il giudizio principale, tenuto conto della data di entrata in vigore del codice della proprietà industriale ex art. 245, comma 1, del d. lgs. n. 30 del 2005, è disciplinato dalle norme che regolano il cosiddetto rito societario.
2.1. – L’art. 16 della legge n. 273 del 2002 ha delegato il Governo ad adottare uno o più decreti legislativi diretti ad assicurare una più rapida ed efficace definizione dei procedimenti giudiziari nelle materie ivi indicate, anche mediante l’istituzione delle sezioni specializzate in materia di proprietà industriale ed intellettuale.
Secondo il giudice a quo, la delega, esercitata con l’emanazione del d. lgs. n. 168 del 2003, è anche scaduta ed ha realizzato, dunque esaurito, i suoi effetti. Inoltre, poiché detto decreto legislativo non conteneva norme di carattere processuale, fatta eccezione per quelle in tema di collegialità dell’organo decidente e di attribuzioni del presidente della sezione, alle controversie devolute alle sezioni specializzate in materia di proprietà industriale ed intellettuale (infra, sezioni specializzate) sarebbero state applicabili le norme del codice di procedura civile che disciplinano il rito ordinario.
Sotto un primo profilo, il rimettente deduce che il d. lgs. n. 30 del 2005 è stato emanato in virtù della delega prevista dall’art. 15 della legge n. 273 del 2002, il quale non costituirebbe adeguata base giuridica dell’art. 134, comma 1, del decreto delegato. L’art. 15 ha, invero, ad oggetto «il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di proprietà industriale», allo scopo di realizzare una «ripartizione della materia per settori omogenei e[d il] coordinamento, formale e sostanziale, delle disposizioni vigenti per garantire coerenza giuridica, logica e sistematica» (comma 1, lettera a), anche al fine dello «adeguamento della normativa alla disciplina internazionale e comunitaria» (comma 1, lettera b).
Inoltre, benché alcune delle disposizioni interessate dal «riassetto» avessero carattere procedurale, la delega non concerneva la disciplina delle sezioni specializzate e del rito applicabile alle controversie a queste attribuite, poiché detti profili costituivano oggetto della distinta delega prevista dall’art. 16 della legge n. 273 del 2002. Ad avviso del rimettente, sebbene la relazione ministeriale al d. lgs. n. 30 del 2005 esponga che il denunciato art. 134, comma 1, «attua ed integra le prescrizioni della L. 273/02, nella parte in cui delega il Governo per l’istituzione di sezioni specializzate», è assai dubbio che la più ampia delega dell’art. 15 di detto decreto legislativo ricomprenda quella dell’art. 16, dovendo altresì escludersi che, anche implicitamente, sia stato prorogato il termine di quest’ultima delega, avendo, peraltro, detta relazione dato atto che il d. lgs. n. 30 del 2005 ha innovato la disciplina introdotta dal d. lgs. n. 168 del 2003.
Sotto un secondo profilo, l’ordinanza di rimessione deduce che il censurato art. 134, comma 1, del d. lgs. n. 30 del 2005, innovando in materia di rito applicabile innanzi alle sezioni specializzate (nonché in materia di competenza), e stabilendo che le relative controversie (anche quelle in tema di diritto d’autore) sono disciplinate dal rito societario, si porrebbe in contrasto con l’art. 76 Cost., in quanto costituisce esercizio della delega, ormai attuata e scaduta, prevista dall’art. 16 della legge n. 273 del 2002, che aveva ad oggetto l’istituzione di dette sezioni e concerneva i profili sia organizzativi, sia processuali.
2.2. – In linea subordinata, il giudice a quo sostiene che, qualora l’art. 16 della legge n. 273 del 2002 fosse interpretato nel senso che autorizzava il legislatore delegato a disciplinare il rito applicabile alle controversie di competenza delle sezioni specializzate, detta norma – ma anche l’art. 15 della stessa legge – si porrebbe in contrasto con l’art. 76 Cost., per mancanza di princípi e criteri direttivi, in quanto stabilisce soltanto che i decreti legislativi avrebbero dovuto «assicurare una più rapida ed efficace definizione dei procedimenti giudiziari». Dunque, l’estensione alle controversie attribuite alla cognizione delle sezioni specializzate del rito disciplinato dal d. lgs. n. 5 del 2003, che non è solo semplificato rispetto a quello ordinario, ma è alternativo rispetto a quest’ultimo e caratterizzato da principi e presupposti del tutto diversi, non rinverrebbe adeguato fondamento nell’art. 16 della legge n. 273 del 2002.
Infine, conclude il rimettente, sulle questioni non inciderebbe il sopravvenuto art. 70-ter delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile, inserito dall’art. 2, comma 3-ter, lettera a), del decreto legge 14 marzo 2005, n. 35 (Disposizioni urgenti nell’àmbito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale), aggiunto dalla relativa legge di conversione 14 maggio 2005, n. 80 (Conversione in legge, con modificazioni, d.l. 14 marzo 2005, n. 35, recante disposizioni urgenti nell’ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale. Deleghe al Governo per la modifica del codice di procedura civile in materia di processo di cassazione e di arbitrato nonché per la riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali), poiché questa disposizione ha reso applicabile il rito societario a tutte le controversie, indipendentemente dal loro oggetto, ma esclusivamente nel caso in cui le parti, concordemente, abbiano operato una tale scelta.
Considerato in diritto
1. – Il Tribunale di Napoli, sezione specializzata in materia di proprietà industriale ed intellettuale, con ordinanza del 12 aprile 2006, ha sollevato, in riferimento all’art. 76 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 134, comma 1, del decreto legislativo 10 febbraio 2005, n. 30 (Codice della proprietà industriale, a norma dell’articolo 15 della legge 12 dicembre 2002, n. 273), nonché degli artt. 15 e 16 della legge 12 dicembre 2002, n. 273 (Misure per favorire l’iniziativa privata e lo sviluppo della concorrenza).
2 . – Secondo il rimettente, l’art. 134, comma 1, del d. lgs. n. 30 del 2005, nella parte in cui stabilisce che alle controversie attribuite alla cognizione delle sezioni specializzate in materia di proprietà industriale ed intellettuale è applicabile il cosiddetto rito societario, disciplinato dal decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5 (Definizione dei procedimenti in materia di diritto societario e di intermediazione finanziaria, nonché in materia bancaria e creditizia, in attuazione dell’articolo 12 della legge 3 ottobre 2001, n. 366), si porrebbe in contrasto con l’art. 76 Cost.
La delega prevista dall’art. 15 della legge n. 273 del 2002 non concerneva, infatti, le sezioni specializzate, sotto il profilo organizzativo e della disciplina processuale, dato che queste costituivano oggetto della diversa, distinta, delega contenuta nell’art. 16 di detta legge. Inoltre, neanche la delega prevista da quest’ultima norma costituirebbe adeguata base giuridica del citato art. 134, comma 1, in quanto alla data di emanazione del decreto legislativo n. 30 del 2005 era ormai scaduta e neppure era compresa nella delega dell’art. 15, quindi non può ritenersi prorogata, neppure implicitamente.
In linea subordinata, il Tribunale di Napoli, per il caso in cui si ritenga il citato art. 134, comma 1, riconducibile alla delega di cui agli artt. 15 e 16 della legge n. 273 del 2002, censura dette norme in riferimento all’art. 76 Cost. La genericità di entrambe le deleghe e la mancanza di specifici principi e criteri direttivi non avrebbero, infatti, permesso di stabilire l’applicabilità del rito societario alle controversie attribuite alle sezioni specializzate, dal momento che tale rito non è meramente semplificato rispetto a quello ordinario, ma è alternativo rispetto a quest’ultimo e caratterizzato da principi del tutto diversi.
3. – Prima di esaminare nel merito le censure, va osservato che il Tribunale di Napoli ha denunciato sia l’art. 134, comma 1, del d. lgs. n. 30 del 2005, sia le norme della legge delega che ne costituirebbero la base giuridica (artt. 15 e 16 della legge n. 273 del 2002), ponendo i quesiti di costituzionalità in rapporto di subordinazione logica; pertanto, le questioni devono ritenersi ammissibili (ordinanze n. 14 del 2003 e n. 273 del 2002).
Il rimettente ha, inoltre, non implausibilmente motivato in ordine all’applicabilità al giudizio principale del citato art. 134, comma 1, anche se, in considerazione dell’oggetto della controversia, come identificato dalla stessa ordinanza, la questione deve ritenersi rilevante esclusivamente in riferimento alla parte della disposizione concernente i procedimenti giudiziari in materia di proprietà industriale e di concorrenza sleale.
4. – La questione avente ad oggetto l’art. 134, comma 1, del d. lgs. n. 30 del 2005, preliminare rispetto alle altre sotto il profilo logico-giuridico, è fondata.
Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, il sindacato di costituzionalità sulla delega legislativa si esplica attraverso un confronto tra gli esiti di due processi ermeneutici paralleli: l’uno, relativo alle norme che determinano l’oggetto, i principi e i criteri direttivi indicati dalla delega, tenendo conto del complessivo contesto di norme in cui si collocano e si individuano le ragioni e le finalità poste a fondamento della legge di delegazione; l’altro, relativo alle norme poste dal legislatore delegato, da interpretarsi nel significato compatibile con i principi ed i criteri direttivi della delega (ex plurimis, sentenze n. 54 del 2007; n. 280 del 2004; n. 199 del 2003).
Inoltre, qualora, come nella specie, la delega abbia ad oggetto il riassetto di norme preesistenti, questa finalità giustifica l’introduzione di soluzioni sostanzialmente innovative rispetto al sistema legislativo previgente soltanto se siano stabiliti principi e criteri direttivi volti a definire in tal senso l’oggetto della delega ed a circoscrivere la discrezionalità del legislatore delegato (sentenze n. 239 del 2003 e n. 354 del 1998).
La norma censurata, come dedotto dal rimettente, sia pure con qualche incertezza, rinviene la sua base giuridica esclusivamente nell’art. 15 del d. lgs. n. 30 del 2005.
Decisiva è in tal senso la circostanza che nella stessa premessa del decreto legislativo n. 30 del 2005, dopo il generico riferimento alla legge delega n. 273 del 2002, è richiamato espressamente soltanto l’art. 15, non anche l’art. 16 della stessa legge. D’altra parte, il termine per l’esercizio della delega prevista dal citato art. 16 era comunque scaduto alla data di emanazione del decreto legislativo n. 30 del 2005. In particolare, detto termine era scaduto già alla data in cui è stato prorogato, per la prima volta, quello della delega conferita con l’art. 15, ad opera dell’art. 2 della legge 27 luglio 2004, n. 186, il quale aveva avuto ad oggetto soltanto il termine fissato dall’art. 15.
La delega prevista dal citato art. 15 concerne «il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di proprietà industriale» e la sua formulazione, anche in considerazione dei principi e dei criteri direttivi enunciati, è riferibile esclusivamente alle norme di diritto sostanziale, a quelle di diritto processuale previste dalle leggi speciali oggetto del riassetto, alla disciplina dei procedimenti amministrativi richiamati in detti principi e criteri, alla modalità di realizzazione della semplificazione e del riassetto normativo (in virtù del rinvio all’art. 20 della legge 15 marzo 1997, n. 59, nel testo sostituito dall’art. 1, comma 1, della legge 29 luglio 2003, n. 229, e del comma 2 di quest’ultima norma).
In tal senso, è significativo che la relazione al disegno di legge poi divenuto legge n. 273 del 2002, in riferimento alla delega prevista dall’art. 15, precisa che sua finalità era il «riordino normativo della disciplina sulla proprietà industriale», che «passa, dunque, attraverso la razionalizzazione e la semplificazione delle disposizioni di diritto sostanziale». Con detta delega, pertanto, è stato conferito al legislatore il potere di comporre in un testo normativo unitario le molteplici disposizioni vigenti nella materia, modificandole nella misura strettamente necessaria, adeguandole alla disciplina internazionale e comunitaria, organizzandole in un quadro nuovo, ponendo in rilievo i nessi sistematici esistenti tra i molteplici diritti di proprietà industriale.
Nessuno dei principi e criteri direttivi permette di ritenere che, sia pure implicitamente, il legislatore delegato sia stato autorizzato a stabilire la disciplina processuale delle controversie attribuite alla cognizione delle sezioni specializzate in materia di proprietà industriale ed intellettuale, mediante la previsione dell’applicabilità di un rito diverso da quello ordinario, caratterizzato da elementi peculiari rispetto a quest’ultimo, realizzando in tal modo una sostanziale innovazione del regime vigente. Peraltro, alla data di promulgazione della legge delega (12 dicembre 2002), la disciplina del processo societario non era stata ancora emanata (in quanto stabilita dal d. lgs. 17 gennaio 2003, n. 5), sicché, avendo riguardo alla data della delega, non erano enunciabili neppure principi e criteri direttivi stabiliti per relationem, mediante rinvio, sia pure implicito, ad una disciplina già presente nell’ordinamento.
Il contesto normativo nel quale è inserita la delega in esame conforta questa interpretazione.
Nella stessa legge n. 273 del 2002, subito dopo l’art. 15, e cioè nell’art. 16, è stata infatti prevista una distinta ed ulteriore delega, avente ad oggetto l’emanazione di decreti legislativi diretti proprio «ad assicurare una più rapida ed efficace definizione dei procedimenti giudiziari», esercitata mediante l’emanazione del d. lgs. n. 168 del 2003, che ha istituito le sezioni specializzate in materia di proprietà industriale ed intellettuale, intervenendo anche sulla disciplina del processo (sia pure limitatamente alla previsione della riserva di collegialità e delle attribuzioni del presidente della sezione: artt. 2, comma 1, e 5).
La disciplina in una stessa legge di queste due distinte deleghe, una delle quali (quella dell’art. 16) concerneva dette sezioni specializzate, in relazione ai profili inerenti sia all’organizzazione che alla disciplina del processo, è univocamente espressiva dell’intento del legislatore delegante di escludere tali profili dalla delega oggetto dell’art. 15.
Le ragioni di opportunità e la finalità di «maggiore efficienza», richiamate nella relazione ministeriale al d. lgs. n. 30 del 2005 a conforto dell’intervento sulla disciplina del processo, non giustificano, inoltre, una soluzione adottata in difetto di ogni previsione in tal senso nel citato art. 15 e che, conseguentemente, neppure rientra nella sfera di discrezionalità spettante al legislatore delegato.
Deve essere, pertanto, dichiarata, per violazione dell’art. 76 Cost., l’illegittimità costituzionale, dell’art. 134, comma 1, del d. lgs. n. 30 del 2005, nella parte in cui stabilisce che nei procedimenti giudiziari in materia di proprietà industriale e di concorrenza sleale, la cui cognizione è delle sezioni specializzate, ivi comprese quelle che presentano ragioni di connessione anche impropria, si applicano le norme dei capi I e IV del titolo II e quelle del titolo III del decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5, restando assorbite le ulteriori questioni.
Le considerazioni svolte valgono anche al fine di affermare che il legislatore delegato era privo del potere di stabilire che in materia di illeciti afferenti all’esercizio di diritti di proprietà industriale ai sensi della legge 10 ottobre 1990, n. 287, e degli articoli 81 e 82 del Trattato CE, la cui cognizione è del giudice ordinario, ed in generale in materie di competenza delle sezioni specializzate, ivi comprese quelle che presentano ragioni di connessione anche impropria, si applicano le norme dei capi I e IV del titolo II e quelle del titolo III del decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5.
Pertanto, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, va dichiarata l’illegittimità costituzionale del citato art. 134, comma 1, anche in questa parte.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 134, comma 1, del decreto legislativo 10 febbraio 2005, n. 30 (Codice della proprietà industriale, a norma dell’articolo 15 della legge 12 dicembre 2002, n. 273), nella parte in cui stabilisce che nei procedimenti giudiziari in materia di proprietà industriale e di concorrenza sleale, la cui cognizione è delle sezioni specializzate, quivi comprese quelle che presentano ragioni di connessione anche impropria, si applicano le norme dei capi I e IV del titolo II e quelle del titolo III del decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5 (Definizione dei procedimenti in materia di diritto societario e di intermediazione finanziaria, nonché in materia bancaria e creditizia, in attuazione dell’articolo 12 della legge 3 ottobre 2001, n. 366);
dichiara, in applicazione dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, l’illegittimità costituzionale dell’art. 134, comma 1, del decreto legislativo n. 30 del 2005, nella parte in cui stabilisce che nei procedimenti giudiziari in materia di illeciti afferenti all’esercizio di diritti di proprietà industriale ai sensi della legge 10 ottobre 1990, n. 287, e degli articoli 81 e 82 del Trattato UE, la cui cognizione è del giudice ordinario, ed in generale in materie di competenza delle sezioni specializzate, quivi comprese quelle che presentano ragioni di connessione anche impropria, si applicano le norme dei capi I e IV del titolo II e quelle del titolo III del decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 aprile 2007.
F.to:
Franco BILE, Presidente
Giuseppe TESAURO, Redattore
Maria Rosaria FRUSCELLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 17 maggio 2007.
Il Cancelliere
F.to: FRUSCELLA
No Sidebar
This template supports the unlimited sidebar's widgets.
For adding widgets to Blog sidebar Click Here