Continua il processo di erosione della “irresponsabilità” delle Poste per omissioni e ritardi. La Corte costituzionale ha infatti dichiarato costituzionalmente illegittimo il T.U. in materia postale, banco posta e telecomunicazioni nella parte in cui escludeva la responsabilità dell’Amministrazione e dei concessionari del servizio telegrafico per il mancato recapito di un telegramma (in materia si veda anche Cass. Civ., Sez. III, 22 maggio 2002, n. 7549, che ha rigettato il ricorso per cassazione contro una sentenza del Giudice di Pace – peraltro resa secondo equità – che aveva riconosciuto la responsabilità delle Poste Italiane per ritardata consegna di un plico).
Corte costituzionale 20 giugno 2002, n. 254 – Pres. Ruperto – Red. Marini
Ritenuto in fatto
1.- Con ordinanza emessa il 12 ottobre 1999, il Tribunale di Reggio Calabria ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 6 e 249, primo inciso, del decreto del Presidente della Repubblica 29 marzo 1973, n. 156 (Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative in materia postale, di bancoposta e di telecomunicazioni), “nella parte in cui escludono l’obbligo del risarcimento a carico della società Poste Italiane S.p.A. nel caso di mancato recapito di telegramma”.
Espone il rimettente – quanto alla rilevanza della questione – che nel giudizio a quo l’attore ha avanzato una pretesa risarcitoria nei confronti della società Poste Italiane per il mancato recapito del telegramma – regolarmente inviato – con il quale la società Ferrovie dello Stato gli comunicava l’avvenuto superamento dei test selettivi di un concorso per l’assunzione di personale con contratto di formazione e lavoro, convocandolo per le visite mediche previste ai fini dell’accertamento del possesso dei necessari requisiti fisici.
La vicenda – considerato che l’azione promossa dal medesimo attore nei confronti delle Ferrovie dello Stato, al fine di ottenere una nuova convocazione, aveva avuto esito negativo, non essendo stato ravvisato alcun profilo di colpa a carico del mittente – andrebbe ricostruita, ad avviso del medesimo rimettente, secondo il noto paradigma della responsabilità delle Poste Italiane per perdita di chance.
L’accoglimento della domanda risarcitoria risulterebbe peraltro precluso, nella specie, dal disposto dell’art. 6 del codice postale, applicabile anche nei confronti del destinatario della comunicazione.
Tale norma, unitamente all’art. 249, primo inciso, dello stesso codice postale, sarebbe infatti integrata da fonti secondarie che escludono qualunque indennità o risarcimento e prevedono soltanto, in casi determinati, il diritto al rimborso della tassa integrale del telegramma.
Ritiene, peraltro, il giudice a quo – anche sulla scorta di enunciazioni rinvenibili nella giurisprudenza di questa Corte – che siffatta disciplina si porrebbe in contrasto con il principio di eguaglianza, per la ingiustificata disparità di trattamento che verrebbe a determinare tra la società che gestisce il servizio telegrafico e gli utenti (mittenti e destinatari) del servizio stesso, tale da alterare la natura privatistica del rapporto e pregiudicare irragionevolmente l’equilibrato componimento degli interessi pubblici e privati connessi alla gestione del servizio.
2.- Si è costituita in giudizio la s.p.a. Poste Italiane concludendo, in via principale, per la declaratoria di inammissibilità della questione e, in via subordinata, per la declaratoria di infondatezza.
Preliminarmente, la parte privata assume che “la specialità del trattamento normativo riservato dal legislatore al servizio postale” porterebbe ad escludere la stessa configurabilità di un danno da perdita di chance imputabile, a titolo di responsabilità contrattuale o extracontrattuale, al gestore del servizio, con conseguente irrilevanza della questione.
Nel merito, la disciplina censurata troverebbe giustificazione – ad avviso della stessa parte – negli oggettivi caratteri di complessità ed onerosità del servizio, del tutto indipendenti dalla natura pubblica o privata del gestore. Ricorda, al riguardo, la s.p.a. Poste Italiane come questa stessa Corte, nella sentenza n. 463 del 1997, abbia escluso la illegittimità costituzionale del medesimo art. 6 del codice postale, nella parte in cui esclude l’obbligo del risarcimento del danno in caso di mancato recapito di corrispondenza raccomandata, proprio in considerazione delle peculiari caratteristiche del servizio postale.
La medesima Corte del resto, anche in altre occasioni, avrebbe affermato che il carattere privatistico del rapporto intercorrente tra il gestore e l’utente del servizio postale non esclude la possibilità di configurare una disciplina speciale, ispirata a criteri più restrittivi di quella ordinaria.
3.- E’ intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo a sua volta per la declaratoria di inammissibilità o infondatezza della questione.
Ad avviso della parte pubblica, non potrebbe qualificarsi in termini di irragionevolezza una norma che escluda in via generale qualsiasi responsabilità per i servizi postali che non sia specificamente prevista dalla particolare normativa del singolo servizio, “in relazione alle condizioni anche economiche alle quali il servizio stesso viene offerto al pubblico”. Una diversa disciplina della responsabilità per l’espletamento del servizio verrebbe, infatti, ad alterare – secondo l’Avvocatura – l’equilibrio economico del contratto, “fissato attraverso il prezzo richiesto per la prestazione del servizio”.
Considerato in diritto
1.- Il Tribunale di Reggio Calabria dubita, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, della legittimità costituzionale degli articoli 6 e 249, primo inciso, del decreto del Presidente della Repubblica 29 marzo 1973, n. 156 (Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative in materia postale, di bancoposta e di telecomunicazioni), nella parte in cui prevedono la irresponsabilità della s.p.a Poste Italiane, in caso di mancato recapito del telegramma.
Siffatta esclusione di responsabilità, secondo quanto ritenuto dal rimettente, sarebbe in contrasto con la natura privatistica del rapporto e comporterebbe una irragionevole alterazione dell’equilibrio tra i contrapposti interessi delle parti, non giustificata dalle caratteristiche proprie del servizio, con conseguente violazione sia del canone di ragionevolezza che del principio di eguaglianza garantiti dall’art. 3 della Costituzione.
2.- La questione riguardante l’art. 249 del decreto del Presidente della Repubblica n. 156 del 1973 è inammissibile.
La norma sancisce, infatti, l’esonero da responsabilità dell’Amministrazione postale (e del concessionario) “per i danni arrecati a persone od a cose, che possano derivare o incidentalmente essere causati da contatti di conduttori con apparecchiature terminali installate presso gli utenti dei servizi telegrafici”.
La diversità di tale fattispecie da quella, dedotta nel giudizio a quo, di mancato recapito del telegramma, rende, pertanto, la questione, seppure proposta limitatamente al primo inciso della norma denunciata (“fermo restando quanto disposto nel precedente art. 6”), priva di qualsiasi rilevanza in quel giudizio.
3.- La questione di legittimità costituzionale dell’art. 6 del decreto del Presidente della Repubblica n.156 del 1973, nei termini proposti, è fondata.
3.1.- Il citato articolo contiene una regola generale di irresponsabilità dell’Amministrazione (e quindi, attualmente, delle Poste Italiane s.p.a.) per i servizi postali, di bancoposta e delle telecomunicazioni “fuori dei casi e dei limiti espressamente stabiliti dalla legge”.
Per quanto concerne il servizio telegrafico manca una speciale disciplina della responsabilità del gestore del servizio per il caso di mancato recapito del telegramma, essendo solo previsto da norme secondarie, per l’ipotesi di inosservanza dei tempi di recapito, il diritto del mittente al “rimborso della tassa integrale del telegramma”. Rimborso che, per il suo carattere restitutorio del corrispettivo pagato alle Poste, oltre che per la entità della somma che ne è oggetto, non potrebbe, comunque, assolvere una funzione risarcitoria del danno causato agli utenti del servizio, valendo solo come indiretta attestazione della mancanza di qualsiasi utilità del telegramma il cui recapito avvenga oltre un certo termine e, quindi, come qualificazione di quest’ultima fattispecie in termini appunto di mancato recapito. Con la conseguenza che, in assenza di una norma speciale, il mancato recapito del telegramma resta disciplinato dalla regola generale, oggetto del presente scrutinio di costituzionalità, dell’esonero delle Poste da responsabilità nei confronti degli utenti.
3.2.- Secondo la giurisprudenza di questa Corte deve ritenersi sempre possibile delineare, in materia di responsabilità per danni causati agli utenti del servizio postale, una disciplina speciale ispirata a criteri più restrittivi di quella ordinaria, in rapporto alla complessità tecnica della gestione del servizio ed all’esigenza del contenimento dei costi. Nel caso del mancato recapito del telegramma viene, tuttavia, in considerazione non già una limitazione, ma una totale esclusione della responsabilità del gestore nei confronti degli utenti del servizio.
Ed è proprio siffatta esclusione a risultare in aperto contrasto con la definitiva perdita del carattere autoritativo degli atti in cui si estrinseca il rapporto tra il gestore e gli utenti del servizio postale e con la conseguente assimilazione della relativa disciplina a quella di diritto comune.
E’ appena, poi, il caso di ricordare come in quest’ultima non solo manchi una norma in qualche modo analoga alla citata regola di irresponsabilità, ma sia testualmente colpito da nullità il patto di esonero da responsabilità per dolo o colpa grave (art. 1229 cod. civ.). E ciò in quanto, in tal caso, essendo l’adempimento dell’obbligazione rimesso alla mera volontà dell’obbligato, sarebbe esclusa o, comunque, vanificata la giuridicità del vincolo inter partes.
Può, quindi, conclusivamente affermarsi che l’esclusione di qualsiasi responsabilità per il mancato recapito del telegramma, rendendo immune da qualsivoglia conseguenza pregiudizievole il soggetto tenuto al recapito, degrada il rapporto privatistico tra Poste ed utenti del servizio telegrafico ad un rapporto di mero fatto e rappresenta, quindi, nell’attuale fase di evoluzione dell’ordinamento, un anacronistico privilegio, privo di connessione con obiettive caratteristiche del servizio e, perciò, lesivo, al tempo stesso, del canone di ragionevolezza e del principio di eguaglianza garantiti dall’art. 3 della Costituzione.
3.- Va, dunque, dichiarata la illegittimità costituzionale dell’art. 6 del codice postale nella parte in cui esclude, in mancanza di speciali norme di legge, qualsiasi responsabilità delle Poste per il mancato recapito del telegramma.
Mentre appartiene alla sfera della discrezionalità legislativa apportare, per il caso suddetto, una deroga al diritto comune della responsabilità civile che realizzi un ragionevole punto di equilibrio tra le esigenze proprie del gestore del servizio telegrafico e quelle, non meno importanti, degli utenti del servizio medesimo.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 6 del decreto del Presidente della Repubblica 29 marzo 1973, n. 156 (Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative in materia postale, di bancoposta e di telecomunicazioni), nella parte in cui dispone che l’Amministrazione ed i concessionari del servizio telegrafico non incontrano alcuna responsabilità per il mancato recapito di telegramma;
2) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 249, primo inciso, del decreto del Presidente della Repubblica 29 marzo 1973, n. 156 (Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative in materia postale, di bancoposta e di telecomunicazioni), sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal Tribunale di Reggio Calabria con l’ordinanza in epigrafe.
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